“L’obiettivo è coinvolgere anche le donne italiane, locali e non, che abbiano intenzione di impegnarsi e seguirci in quello che sta diventando un progetto di impresa sociale. Tutte siamo una: con la creatività possiamo cambiare, non solo Castelvolturno.”
Nel percorso che si sta delineando, composto dalle tracce di chi vuole lasciare un segno di speranza per gli altri, ho incontrato mesi fa due figure speciali: padre Daniele Moschetti, missionario comboniano ora distaccato, per sua scelta, presso la Missione di Castelvolturno, e Don Antonio Guarino, parroco di Santa Maria dell’Aiuto, responsabile nello stesso territorio dell’associazione Black and White. Entrambi hanno raccontato un’esperienza di accoglienza, di ascolto e soprattutto di offerta di prospettive. In un comune nel quale domina un’immagine disegnata da anni di incuria e pregiudizio, ci sono per aiutare, chi qui è arrivato da vari sentieri, mai facili, a ricostruirsi, oltre il luogo comune che li vorrebbe rassegnati. Con loro, in questa impresa, c’è Paola Russo, responsabile della Casa del Bambino e di Action Women. Progetti collegati che, sotto l’egida dell’associazione di Don Guarino e della Missione Comboniana, sono rivolti alle donne del territorio, straniere e non, per offrire spazi nei quali costruire percorsi di autonomia e autodeterminazione attraverso la formazione e il lavoro. Dal febbraio 2018 alla Casa del Bambino è partito un viaggio che ha trasformato le differenze in creatività condivisa. Laboratori artigianali, work shop, confronti fino a Skaf: la fascia modellabile in cotone, risultato anche dei contributi di fashion designer e professioniste della comunicazione. Paola racconta come, dal primo laboratorio con un sarto del posto, si sia arrivati al Mercato Meraviglia di Napoli, ma anche alla Fiera No Brand della settimana del design di Milano. In ogni occasione Patricia, Mary, Alessia, Margharet, Pat e Blessing hanno “scassato”, vendendo ogni fascia, consigliando di “mettersi bene in testa l’idea che cambiare il mondo è possibile.”
La traccia: Skaf, la fascia da indossare per migliorare i pensieri
“Abbiamo appena traslocato. Ci avevano parlato dell’assegnazione di un bene confiscato, ma ce ne volevano affidare uno talmente mal ridotto che avremmo dovuto fare così tanti lavori da spendere molto di più di quanto andremo a pagare, ora, di regolare affitto a privati. Il progetto della Casa del Bambino fa capo alla Missione dei Comboniani, siamo finanziati dalla Onlus Mondo Aperto. Fino al 2020 usufruiremo anche del sostegno della Fondazione San Zeno che ci aiuta dal 2015. Certo le esigenze sono quasi sempre superiori rispetto a quanto abbiamo a disposizione, ma senza il supporto della Missione e delle Fondazioni non ce la faremmo proprio.”
“Io ho il mio cuore nel progetto Action Women. Tutto è cominciato dall’asilo che avevamo aperto per venire incontro alle donne che si prostituivano sulla Domiziana, per fornire loro un luogo dove lasciare i propri figli piccoli. La Casa del bambino aveva proprio questo scopo, che con il tempo è cambiato, diventando uno spazio per i ragazzi del territorio, anche più grandi, con il doposcuola e altre attività. Intanto si è capovolto il concetto di asilo: da quello per bambini a quello per le madri. Un posto dove potessero passare del tempo, pensando al loro empowerment a partire dalla conoscenza della lingua italiana. Nei nostri locali possono stare insieme ai loro figli, in una situazione sicura nella quale incontrarsi con altre donne e iniziare alcuni percorsi insieme. Abbiamo cominciato con un piccolo laboratorio di taglio e cucito nel febbraio del 2018, tenuto da un sarto di Castelvolturno.”
“Le storie delle donne coinvolte sono diverse: c’è una parte che proviene dalle esperienze dolorose di tratta, ma c’è anche chi è arrivata da poco in areo e chi in barcone dalla Libia.
Sulle varie brutture che hanno dovuto subire non investighiamo, parlano i loro occhi: gli sguardi sono come cicatrici.
Ci sono ragazze che hanno cominciato il laboratorio, poi lo hanno lasciato, alcune sono partite per la Francia. Ora il gruppo è più stanziale, qui ci sono i loro bambini, si fidano di noi. A loro si sono unite delle altre donne italiane, delle professioniste, fashion designer, esperte di comunicazione. Ad ottobre del 2018 abbiamo organizzato due giorni di scambio di esperienze: un work shop in un hotel a Castel Volturno. In particolare una esperta di marketing ci ha parlato di corsi di sartoria sociale. Da lì sono nate le esperienze relative alla creazione del prodotto, del nome e del marchio. A dicembre abbiamo fatto un work shop di brand identity, durante il quale le ladies hanno dato un nome alla fascia. Grazie ai suggerimenti di Barbara Annunziata l’architetto, fashion designer di Roma, innamorata di Castel Volturno che ci segue dal 2017, la fascia turbante, modellata dal fil di ferro è stata battezzata “Skaf”. E’ la storpiatura di Skarf, sciarpa; come claim si è scelto “mettitelo bene in testa”. Abbiamo avuto la possibilità di portarne alcune al Mercato Meraviglia a Napoli. Abbiamo “scassato”. Montato la bancarella sabato, la domenica mattina era già tutto finito. “
“Il costo della fascia è 20 euro. Le stoffe, all’inizio, sono state donate da una Misericordia toscana e prese dai missionari comboniani in Africa. Poi abbiamo cominciato a comprare quelle Wax che in inglese significa cera, è infatti un cotone cerato tipico del colore africano: è di origine coloniale anche se rappresenta la stoffa per eccellenza della moda etnica. Abbiamo ricevuto altre grosse donazioni in modo da poter comprare pezze enormi non scampoli. Adesso siamo in 12, impegnate nel progetto. Sei sono le sarte in progress perché stanno ancora imparando grazie all’attività di formazione preziosa, offerta da una sartoria teatrale napoletana: 80 ore di stage al contatto con professionisti che fanno eseguire tutte le fasi, dal carta modello alla realizzazione. Si stanno avvicinando anche alcune donne italiane del posto.”
“La verità è che il disagio non ha colore, è manifestato in maniera diversa perché differenti sono le culture e sub culture di riferimento. Gli italiani che sono a Castelvolturno vengono dall’hinterland napoletano, anche loro scappano da qualcosa: chi è agli arresti domiciliari, chi ha trovato una casa a basso costo o l’ha occupata. Qui non c’è controllo: si galleggia tutti, italiani, africani, rumeni, russi. E’ un crogiuolo di border line.”
“Io ci sono arrivata attraverso vie tortuose. Mi occupavo di organizzazioni internazionali: ho lavorato per alcune di esse, dopo essermi laureata in scienze politiche. Volevo fare la carriera diplomatica, per questo ho passato molto tempo all’estero. Quando ho deciso di tornare a Napoli, dopo aver superato lo shock culturale, ho cominciato ad occuparmi di formazione professionale. Lungo questo percorso, mi sono imbattuta nei missionari comboniani per la scrittura di un progetto che poi non andò in porto, ma servì a far nascere un rapporto di stima reciproca, tanto che nel 2014 mi chiamarono per coordinare la Casa del Bambino. Tutti i giorni, da allora, faccio avanti e indietro da Pozzuoli dove vivo. Questo posto riempie ogni spazio dell’anima e rischia di fagocitare: è necessario staccare.”
“L’obiettivo ora è coinvolgere le donne italiane, locali e non, che abbiano intenzione di impegnarsi e seguirci in quello che sta diventando un progetto di impresa sociale. Vorremmo diventare autonome rispetto all’associazione Black and white da cui ancora dipendiamo e formare una cooperativa. Per ora i riscontri della nostra attività ci incoraggiano. Promuoviamo i prodotti attraverso la pagina Facebook e Instagram: scrivendo ai profili si possono ordinare le fasce, è però ancora una vendita passaparola. Siamo state a Milano durante la settimana del design nello spazio No Brand: è stata una esperienza complessa, ci hanno fatto molte domande che a Napoli non ci avevano rivolto, ma abbiamo venduto tutto. Si è confermato anche il successo del Mercato Meraviglia dove abbiamo sbancato pure questo Natale.”
La traccia volante: Ne ho due, legate tra loro: “Mettitelo bene in testa che un mondo migliore è possibile” e “Tutte siamo una”.
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