Valerio racconta le frontiere della dignità

“Bisogna far conoscere le storie vere dei migranti e di chi li aiuta, per accorciare le distanze e recuperare umanità.”

valerio e le frontiere della dignitàIl fenomeno migratorio è una delle tracce più dolorose che rimarrà della storia di questi ultimi anni. I libri e i siti, ben documentati e non faziosi, dovranno raccontare di centinaia di migliaia di donne, uomini e bambini costretti a lasciare le loro terre, martoriate da guerre, privazione di diritti minimi, povertà. Un popolo in cammino alla ricerca di un luogo dove poter ricominciare a studiare, lavorare, respirare. Storie non numeri di chi per farcela ha subito la violenza del freddo, della fatica, della paura, delle botte, dei respingimenti, della cattiveria, senza mai perdere la dignità e incontrando anche il volto buono e generoso di chi ha prestato loro soccorso. La speranza è che queste pagine siano studiate per ricordare cosa è stato. A imprimere nelle immagini questa narrazione ci sono professionisti con capacità e soprattutto sensibilità speciali come Valerio Nicolosi, videomaker e filmmaker freelance per Associated press. Abbiamo raccontato del suo lavoro in una traccia di luglio , quando una sua foto girò per il mondo a documentare cosa significhi il salvataggio in mare da parte dei volontari dell’Open Arms. Già allora Valerio introdusse l’idea della realizzazione di un documentario “Frontiere, le vie per l’Europa” nel quale intrecciare le storie dei migranti e quelle dei volontari che ogni giorno si incontrano sulle rotte per l’Europa. Sceso dalle navi, Valerio ha percorso la rotta balcanica per aggiungere una parte fondamentale al suo progetto di conoscenza. A luglio stava per partire il crowdfunding, ora il lavoro è quasi finito: la raccolta per completarlo prosegue su https://www.produzionidalbasso.com/project/frontiere-le-vie-per-l-europa-1/. Tornato da poco dalla Bosnia, il filmmaker romano aggiunge un’altra traccia con la quale imprime il senso della necessità di proseguire ad attivarsi perché nessuno rimanga indifferente rispetto a quanto sta accadendo, poco distante da noi, a coloro che sono persone reali e non cifre statistiche.

La traccia: i passi, le voci e le storie lungo le vie per l’Europa

Il lavoro non è ancora finito. Finora i fondi raccolti con il crowdfunding non sono stati pochi, ma certo non sarebbero bastati se non ne avessi aggiunto di miei. Non mi lamento perché è un progetto nel quale ho deciso io di investire. Mi mancano due viaggi: in Libano e in Grecia a Lesbos. Finora ho concluso il racconto del Mediterraneo centrale che ho dedicato in esclusiva a quanto ha fatto e continua a fare Open Arms. Per quello che riguarda la Rotta Balcanica. che ho percorso con varie tappe significative da agosto, ci tengo ad aggiungere il racconto dell’ospedale da campo di Medici senza frontiere a Lesbos, dove lavora una mia cara amica, la dottoressa Giovanna Scaccabarozzi.”

“Sono stanco, ma bisogna continuare. Nel lavoro sulle navi ero solo, mentre a terra siamo sempre stati almeno in due. Ad agosto a Bihac eravamo in tre. Chi mi accompagna, oltre al rimborso per il viaggio, non chiede altro. Chi si è impegnato nel mostrare ciò che difficilmente viene raccontato, nel modo in cui abbiamo deciso di farlo, senza filtri, ma con rispetto, sente questo come un dovere morale e non come un’operazione commerciale. Avremmo potuto limitarci a documentare quanto accade in mare, ma sarebbe stato un racconto incompleto. Secondo i dati raccolti in una mappa dall’UNHCR, in Italia nel 2019 sono entrate 11 mila persone, in Spagna 29 mila, in Grecia 75 mila. E’ evidente che il nostro paese stia diventando marginale nelle rotte migratorie, ed io voglio trattare il fenomeno nel modo più ampio possibile.”

Lungo la rotta della disperazione

valerio e le frontiere due“La possibilità di avere due prospettive, sia sulle navi, sia a terra, mi ha permesso di capire delle differenze significative: si parte dalla stessa disperazione, poi si prosegue attraverso diversi passaggi di fatica per raggiungere differenti livelli di speranza. Via mare i migranti passano dalla Libia, dove sono fermati e subiscono quasi sempre violenze e soprusi, quando arrivano sulle navi, però, si sentono salvi. Chi intraprende la rotta balcanica, sa che in Grecia, dove siamo andati a incontrarli, sono solo all’inizio del cammino: vengono dalla Turchia che l’Unione Europea sovvenziona affinchè fermi i migranti. Giunti in territorio greco, devono ancora attraversare Bosnia, Croazia, Slovenia, affrontando le aggressioni della polizia locale di ogni paese. Lo scorso anno sono stati registrati dal BVMN (coordinamento di associazioni umanitarie presenti nei Balcani) 770 episodi di respingimento fatti con armi da fuoco. La gran parte di questi sono stati fatti dalla polizia croata. Il numero è decisamente una sottostima del fenomeno perchè ogni giorno ci sono decine di persone che attraversano quella frontiera e vengono riportati indietro illegalmente poche ore dopo. Alta, troppo, la percentuale di coloro che hanno chiesto asilo, vedendoselo negare dalle autorità che li hanno ignorati o hanno fatto firmare dei fogli, in accordo con i traduttori, nei quali si chiedeva di essere rimandati indietro.”

valerio ex jungle di Vuciak“La situazione sulla rotta balcanica è terribile e l’inverno è ancora lungo. La politica europea si disinteressa di questo problema lasciando fare ai paesi del sud: i cani da guardia del continente. Sono tornato da poco dalla Bosnia, l’intensità di ciò a cui ho assistito mi ha provato: le condizioni umane nelle quali si trovano a vivere le persone sono drammatiche, ma ciò nonostante, tutti mantengono la loro dignità. Ho cercato di dare un piccolo contributo, comprando coperte, padelle, sapone, anche se spesso non sanno dove cucinare e dove lavarsi. Si sta consolidando una rete in Bosnia e in Grecia che funziona da incubatore di impegno sociale, ma non può bastare. C’è il campo di Moria che è un carcere, fuori e intorno ci sono molti volontari. Dopo non c’è più molto. A Bihac ho faticato a fare delle interviste: hanno tutti paura della Polizia. Sono entrato nel magazzino di una signora usato come luogo di stoccaggio per coperte, vestiti e cibo. “Non mi riprendete!” ci ha chiesto, spaventata. Ci sono diverse persone che aiutano, ma è difficile che si palesino: sanno bene ciò che si rischia.”

Cosa mostrare e cosa non

“Noi abbiamo rispettato i timori, come pure non abbiamo documentato le immagini degradanti a cui abbiamo assistito soprattutto durante i momenti del pasto. Mi hanno invitato a pranzo nei locali angusti nei quali, nascosti, senza aria, improvvisano dei fuochi dove cuocere il poco cibo che hanno a disposizione. Ho ripreso alcuni frammenti, sono stato in loro compagnia ma non ho tolto loro da mangiare e non ho insistito a mostrare come fosse disumana la loro situazione di vita. Siamo stati negli stessi posti lungo la rotta balcanica, sia questa estate, sia ora, per vedere come cambiano le condizioni con il freddo. Penso alla zona della Jungle di Vucjak, vicino Bihac: ad agosto ero stato nel campo che sarà nel documentario, ora non c’è più, ho documentato la desolazione che resta. L’assistenza sanitaria, quel poco di cibo e acqua e il clima di comunità che si respirava nonostante le condizioni difficili, non c’è più. Le persone sono sparse, molti aspettano la fine dell’inverno per provare (per la decima o ventesima volta) a passare in Croazia e in Slovenia, con i rischi che vengano di nuovo fermati, picchiati, denudati e rimandati in Bosnia illegalmente. Altri proveranno nei prossimi giorni.”

valerio e le frontiere finale“Sono immagini desolanti, sensazioni forti, vissute e provate quotidianamente da uomini, donne e bambini. Noi tentiamo di dare il nostro contributo perché si possa sapere che ciò è accaduto e accade nel Mediterraneo e nel cuore dell’Europa. Adesso abbiamo a disposizione in cassa, i fondi per riuscire a fare almeno un altro viaggio: la raccolta prosegue, ma l’obiettivo è riuscire a completare il lavoro, anche con le nostre risorse personali. Per il montaggio ho già la disponibilità di alcuni amici. L’idea è di vendere il documentario sia in Italia, sia all’estero. Se dovessero entrare dei ricavi da questo, li dividerò tra tutti coloro che hanno lavorato. E’ importante che il più vasto pubblico possibile conosca la storia di coloro che provano ad attraversare le frontiere e di chi li aiuta lungo il percorso. Credo si possano accorciare le distanze, mostrando che dietro i numeri ci sono persone: come Mohamed, il ragazzo afghano che a 11 anni è tornato a casa e ha trovato tutti i componenti della sua famiglia uccisi dai talebani e da allora è in viaggio, solo. C’è un passato e un presente per ognuno che ha diritto alla propria identità e al rispetto. E’ il modo attraverso il quale io vorrei che arrivasse il racconto reale del fenomeno migratorio, per eliminare il più possibile luoghi comuni e indifferenza. “

La traccia volante: Donne, uomini, bambini migranti sono persone da conoscere e aiutare non numeri da dimenticare.

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