“Che carino Zeno, sembra vagamente E.T. L’Extraterrestre. E chissà che non sia venuto un po’ da un altro pianeta con la sua navicella spaziale, in questo mondo che improvvisamente ha iniziato a girare in modo contrario. Da qualsiasi parte tu sia arrivato lassù, benvenuto Amore Mio.”Grazie alle parole di Carlotta Piraino, avevamo scoperto come si potesse vivere la gravidanza in questo periodo così difficile. Il piccolo Zeno stava per nascere: giovedì 18, così come aveva previsto la mamma, dopo un parto lungo, ha aperto i suoi occhi meravigliosi e fatto sentire la sua voce inconfondibile. Le foto che mi ha inviato Carlotta hanno liberato lacrime, finalmente di gioia. La pace della sua espressione e l’amore nello sguardo della mamma e del papà sono una terapia per l’ansia e il dolore che stiamo provando. Ringrazio entrambi per avermi dato il permesso di pubblicarle e di riportare il racconto del parto che, da grande, Zeno si sentirà ripetere varie volte e oggi diffonde un messaggio di speranza per tutti.
Partorire col Coronavirus.
“Io sono stata in un ospedale stupendo. Pieno di gente stupenda. Sono entrata in sala parto alle 11 del mattino del 18 marzo con un piccolo Zeno che voleva nascere, grande lavorio di donne attorno a me, come vecchie levatrici. Ora risalgono immagini flash scavate a fondo, resti ritagliati chissà come nella memoria da quel tempo sospeso. Ricordo la fatica, certo, come quella di tutte eppure solo mia, l’entusiasmo, i sorrisi, le carezze, il mio compagno come un albero a cui aggrapparsi. Ricordo le vocalizzazioni, i canti, le mani sapienti sul corpo, i consigli, i respiri, le tante parole. La gioia dell’epidurale, dolce droga “addolciscirealtà.” Gli aghi, i passi nella stanza, i biscotti e poi la fame, la sete. La pipì. Il dolore che ti manda fuori di testa. Alla 23.00 sono passata in sala operatoria, vagamente stanca dopo 12 ore in sala parto, ad incontrare il Signor Cesareo. Ci siamo arrivati stanchi stanchi ma ci abbiamo provato in tutti i modi lo stesso. E va bene così. Tutto bellissimo, arcaico, dolente come lo è per tutte le donne. Alla fine, semplice.”
“Zeno è nato con una capoccia così, un bel peso di tre chili e mezzo (che poi non ho mai capito perchè sta storia del peso sia un vanto, ma ognuno pesa quanto pesa no? Invece pare sia di importanza vitale. Vabbè.) In ogni caso il tema non era il parto. Che in fondo ogni donna c’ha il suo. Era il parto con il signor Corona in un ospedale dove tu vai a fare una cosa bella, un gesto di accompagnamento e non di cura, perchè non hai una malattia, no? Ma intorno a te si parla solo di Coronavirus, anche nella maternità dove tutti ti assistono con le mascherine, anche se tante volte lo vedi dagli occhi che, sotto quelle mascherine loro ti sorridono. Si sforzano di essere sorridenti, alcuni lo sono davvero. Infermieri, ostetriche, medici, chi più chi meno gentili, ma tutti infaticabili. Dalla stanza con la porta aperta si sentono i discorsi. C’è questo spaccio di mascherine, bene introvabile. Arrivano razionate anche per l’ospedale, perchè la maggior parte vanno al Nord, dove la situazione è più difficile. Quando il personale sanitario riceve una mascherina deve firmare di averla presa. La tiene alcuni giorni, finchè non diventa inutile e si sfa, come dire. Alcuni se le sono comprati da soli. Qualcuno dice che non hanno resistito e le hanno date ai mariti delle gestanti, perchè “poveri insomma anche loro hanno paura come tutti”, qualcuno ricorda che però non si può. I parenti non possono entrare. I padri, nemmeno. Entrano in sala parto ma non ci sono le visite, quello che puoi fare è sperare di uscire il prima possibile. Non avere aiuto in un momento così, dove comunque ti ritrovi a dover pensare a un altro che non conosci e che ti dicono che è tuo, che tocchi per la prima volta senza sapere dove mettere le mani, con i postumi di un’operazione che ti rende difficile anche pisciare, ecco, non è proprio semplice.”
“E poi le chiacchiere con loro. “Io sono felice di venire a lavorare – mi dice un’ostetrica – per me è una cosa normale. Noi siamo abituati ad avere contatti col sangue, con le persone più diverse, è normale. E’ il mio lavoro e lo amo.” E poi discorsi sui figli, dove li lasciano e la scuola “non mi sento di fargli vedere i miei, li metto in isolamento e poi…” “E’ uscito il nuovo decreto? Leggi un po’!” E qualcuno che legge ad alta voce, sottolineando i punti con il crocicchio di commenti intorno. All’improvviso la voce di una donna che entra bestemmiando, maledicendo il reparto i colleghi tutti, sembra posseduta da un attacco di nervi con la voce rotta. Cercano di calmarla e lei scoppia a piangere, comincia a dire che ha paura.”Io a lavorare ci vengo volentieri, ma almeno il diritto alla paura!” Prima delle dimissioni mille raccomandazioni. Tra cui risuona più di tutto: “Mi raccomando: proteggete ‘sti bimbetti, non uscite, non vedete nessuno”
E poi siamo andati via. “Auguri!” “Auguri!” dicevano. Grazie. Grazie di tutto, ospedale. Grazie di essere così.”
“Andate, mettetevi le mascherine”. Siamo usciti con Zeno in una navicella spaziale, più veloci che potevamo come i ladri, lasciandoci alle spalle tutto questo. Le strade erano deserte, io camminavo lenta zoppicando un po’, fuori un silenzio irreale e un’aria bella, fresca. In macchina c’era “Summertime” cantata da Janis Joplin, una canzone che mi fa piangere perchè la sentivo sempre gli ultimi giorni di attesa. A riascoltarla in macchina con Zeno con gli occhi spalancati, mi veniva di guardare dietro la strada che correva via e poi avanti, il deserto, ma anche il vuoto da riempire. E la sto sentendo anche adesso che cerco di scrivere veloce perchè non si svegli, ma lui mi sta qui accanto buono buono e sembra dormire.”
“Che carino Zeno, sembra vagamente E.T. L’Extraterrestre. E chissà che non sia venuto un po’ da un altro pianeta con la sua navicella spaziale, in questo mondo che improvvisamente ha iniziato a girare in modo contrario. Da qualsiasi parte tu sia arrivato lassù, benvenuto Amore Mio.”
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