Il video del vigliacco che picchia una donna indifesa in una strada deserta di Bari mostra l’orrore, senza fine e senza giustificazione, della violenza. Nessuna paura di contagio può frenare la volontà di denuncia e l’impegno alla lotta contro ogni forma prevaricazione.
Avevo scelto di non vederlo. Letta la notizia, a difesa del precario stato d’animo di questi giorni, non avevo approfondito. Oggi la condivisione di un’amica e la contemporanea ricerca di riferimenti di centri anti violenza da intervistare, mi ha spinto a cliccare sul video. Ho sentito sulla mia pancia e poi sulla schiena, ogni colpo sferrato da un essere orribile contro una ragazza terrorizzata. L’aria è mancata mentre lei incassava con rassegnazione: tanti, sempre più diretti, schiaffi e calci, a provocare dolore e umiliazione, senza lasciare segni visibili. Privata di una identità, trascinata come una bambola davanti all’inerzia di un terzo uomo che non ha avvertito nemmeno l’istinto naturale a proteggerla. Intorno il silenzio. In queste serate nelle quali nessun altro rumore poteva coprire o mistificare quelle urla e quell’orribile voce di mostro che continuava a infierire, non si è aperta una finestra: non un grido per provare a bloccarlo. Chi ha ripreso la scena non ha avuto cedimenti: l’inquadratura non si muove, segue i soggetti che però non sono protagonisti di un film. Lei è una donna vera e loro sono due mezzi uomini, schifosi, ma reali.
Dolore e rabbia hanno fissato la consapevolezza di condizioni che durante la pandemia non mutano, anzi rischiano di peggiorare. Chiuse tra le mura che non si osa varcare per un ulteriore timore, creato dalla paura del contagio, le donne subiscono e tacciono. Il bastardo ripreso nel video è un pregiudicato che, all’ unico cenno di attenzione, arrivato da una voce ben nascosta, risponde sereno, senza affanno: “finirò in galera”. I poliziotti lo hanno rintracciato a casa, dove aveva l’obbligo di dimora. La sensazione di impunità può annichilire completamente ogni tentativo di difesa. La ragazza, vittima del pestaggio, seppur straziata dalle botte, ripeteva “è colpa mia!” e non ha denunciato.
Sul corpo delle donne sta passando anche questa emergenza. Le organizzazioni che si occupano della difesa contro la violenza hanno posto all’attenzione del governo, la richiesta di strutturare percorsi per consentire che la quarantena delle vittime non diventi un calvario. I centri di accoglienza hanno dotato il personale, che non si è mai fermato, di presidi necessari, molto spesso ottenuti grazie alla generosità di enti e privati benefattori. L’attività di supporto e vicinanza alle donne non si è bloccata, purtroppo nemmeno l’arroganza e la brutalità dei carnefici e ciò che è ancora peggio, non è modificato il clima di indifferenza.
La stessa nella quale si è provato anche nel nostro paese e si sta tentando concretamente in Polonia, di mettere in discussione il diritto acquisito all’aborto. Il governo polacco, approfittando del confinamento e della pandemia, ha portato in Parlamento la legge per vietarlo anche in caso di stupro, incesto, pericolo di vita per la madre o il bambino. Il silenzio si fa assordante quando l’unico suono è quello di un ennesimo pugno nel nostro ventre per impedirci di parlare. Per stare vicino alle donne polacche si può partecipare al loro movimento di resistenza social, condividendo l’hastag #NieSkladamyParasolek e l’immagine correlata. Per la ragazza di Bari e le altre, tante che continuano a sentirsi responsabili della violenza subita, si deve avvertire, anche ora, sul corpo di ognuno, la veemenza dei colpi subiti, per trovare, insieme, il coraggio di rispondere che un uomo che picchia non lo è e non lo sarà mai e che non c’è motivazione alcuna per subirne l’ira ingiustificata.

Per noi e per il futuro della nostra società, non si deve abbassare la guardia, rimanere vigili, denunciare ogni prevaricazione e non permettere a nessuno di considerare normale la sottomissione delle donne. Non c’è condizione che possa consentire di chiudere gli occhi, non vedere e non reagire.
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