“Ho solo una certezza: il trombone è sempre con me. Era dietro la mia schiena quando andavo ai concerti con il motorino; è il mio bagaglio in treno e in aereo mentre viaggio alla ricerca di qualche garanzia; sarà il bastone della mia vecchiaia. Continuo a fare musica con lui anche quando non suono. Lo farò anche quando sarò in pensione che spero di aver raggiunto facendo il mio lavoro: il musicista.”
Il 21 giugno è la Festa della Musica. Una data simbolica per celebrare con le note l’arrivo dell’estate. Quest’anno rappresenta un’occasione per porre l’attenzione su tutti coloro che permettono si compia, ogni giorno, la magia. La pandemia ha fermato concerti, chiuso teatri e consegnato a migliaia di musicisti l’evidenza di un presente e di un futuro incerto. Con l’hastag #iolavoroconlamusica, stanno cercando di unirsi in un movimento che chieda alla politica di adoperarsi al più presto per dare finalmente dignità a quella che deve essere riconosciuta e tutelata come una professione oltre che come un bene per l’umanità. Vito Scavo è un trombonista, si è diplomato al Conservatorio, ha iniziato a lavorare con il suo trombone a fianco di altri musicisti, dal suo fratello artistico Roy Paci alla Bandakadabra. Dopo il loockdown, durante il quale non ha potuto nemmeno provare uno strumento bandito da ogni regolamento condominiale, si è trovato ad un bivio. Per mantenersi ha scelto di accettare un lavoro diverso: da Torino, dove finalmente si era ambientato professionalmente è tornato nella sua Puglia, a smistare e caricare cassette di frutta. Non si sente una vittima del sistema, anzi, si considera fortunato ad avere trovato un’alternativa per affrontare questo periodo, rispetto a tanti colleghi che continuano a cercare il modo per pagare le bollette. Nella sua traccia racconta l’amore per la musica e per il suo strumento e delinea chiara la sua speranza: tornare a suonare, ma non alle condizioni di prima. L’obiettivo è poter affermare con orgoglio che il proprio lavoro è quello per cui ha studiato, si è formato, che non smetterà mai di fare: il trombonista, con tutti i diritti riconosciuti.
La traccia: la vita con la musica
“Mio padre è amante del blues e jazz, un ottimo ascoltatore, è stato anche vicepresidente della banda di Bari “Orchestra di fiati Nino Rota”. Ne faceva parte uno dei miei cugini, lo seguivo sempre, sin da piccolo ero innamorato di uno strumento: il flicornino. Lo suonava Rocco Caponio: quando si alzava in piedi, tra gli altri musicisti, lo ascoltavo ammirato. Alle medie ho deciso di fare l’indirizzo musicale. Papà pensava scegliessi la chitarra, invece io ero già determinato: “No io voglio suonare la tromba!”. Il mio maestro Aldo Bucci mi ha indirizzato, però, verso il trombone perché ho le labbra troppo grandi per l’imboccatura della tromba. Nella mia mente però pensavo, scambiandolo, che il trombone fosse il Sousafono, quel grande e goffo strumento che si trova solitamente nelle retrovie della banda. Mi immaginavo magrolino schiacciato sotto il suo peso, il maestro mi ha spiegato che mi sbagliavo e che li stavo confondendo: così è iniziata la storia di Vito e il trombone. Amore e odio: ero l’unico trombonista tra tutti trombettisti. Finalmente al Conservatorio di Bari ho trovato i miei simili. Ho studiato, continuando anche a farmi le ossa nella banda.”
“Presto ho capito che i gusti musicali di mio padre erano stati tramandati nei miei. Non rinnego la formazione classica, ma non riuscivo a stare fermo nell’orchestra ad eseguire, sentivo il bisogno di dire la mia, di essere libero. Ho cominciato a girare con la Conturband di Turi, ironia della sorte è la stessa zona dove sto lavorando le ciliegie. Se ci penso, mi sembra di essere tornato alle origini. Suonando per eventi e piazze, senza nemmeno accorgermene, sei anni fa sono arrivato sul palco del Primo maggio di Taranto. Ero con il gruppo degli Stip’ ca Groove (versione musicale del detto “Stip ca truov”, “conserva che poi trovi”). Centomila persone davanti: abbiamo spento la paura e suonato come treni. Qui ho conosciuto Roy Paci che è il direttore artistico della manifestazione. Si è innescato un percorso quasi magico: Roy ci ha chiamato a registrare il nostro primo disco nel suo studio a Lecce, poi mi ha portato dal Festival Medimex a quello di Sanremo, insieme a Biggio e Mandelli, nella banda del Fuoco. Ho capito che stava cambiando la mia carriera. La vita reale, però, ha subito una svolta vera, la mattina di domenica di una settimana dopo il Festival. Stavo dormendo, ma ho risposto alla telefonata di Roy: “ti va di venire a suonare con me e con gli Aretuska?” Ricordo solo che, con gli occhi ancora chiusi, ho replicato: “se tu fossi qui, ti bacerei in bocca!”.”
“Era il 2015: avevo trovato il mio fratello artistico con cui continuare il viaggio insieme al mio trombone, per provare a trasformare la musica in lavoro. Mio padre ha continuato a ripetermi: “suona, ma attenzione che non è un mestiere sicuro.” Senza pensarci troppo, invece, ho deciso di seguire il mio istinto: a Bari per i miei generi musicali non c’era molto mercato, diversa la situazione a Torino, dove vivevano alcuni dei componenti degli Aretuska. Sono partito. Il primo anno e mezzo non è stato proprio tranquillo. Ho cominciato ad ambientarmi, alternando il lavoro con Roy, all’impegno in una nuova band la Bandakadabra. Ho fatto la mia gavetta torinese, aiutato anche dalla presenza della mia compagna che è salita da Bari. Siamo andati a vivere insieme. Tutto cominciava ad andare bene, fino all’esplosione della pandemia.”
“Avevo qualche risparmio che si è presto evaporato. Chiuso in casa, senza poter nemmeno suonare: ci ho provato, ma i vicini hanno resistito pochi minuti, prima di lamentarsi. Passati i mesi, mi sono confrontato con amici e colleghi. Stavano iniziando a mandare in giro il curriculum, il problema è che le nostre competenze attirano ben poco per i lavori cosiddetti “normali”. Io ho la fortuna, e ribadisco che tale è stata, che la famiglia della mia compagna abbia un’azienda che si occupa di lavorazione della frutta, in questo periodo le ciliegie. Ho chiamato mio suocero per chiedere se potevo andare. “Certo che puoi!” mi ha risposto. Mi è anche dispiaciuto di aver tolto il posto ad altri. Non è stata l’unica riflessione negativa, dopo una settimana credevo non avrei retto: sveglia prestissimo, in piedi anche dodici ore a prendere e caricare cassette. Al ventesimo giorno mi sono abituato: proprio ora che sta per finire il periodo delle ciliegie e inizia quello dell’uva, più pesante. Sono in un limbo: la BandaKadabra sta ricominciando a suonare, ci sentiamo tutti i giorni per capire se le date che stanno uscendo siano sicure e ci possano garantire delle entrate nei prossimi mesi. I concerti hanno dei costi: le sale, i tecnici, le strumentazioni, se non c’è il pubblico non si può rientrare nemmeno delle spese. E se poi a ottobre si dovesse fermare di nuovo tutto?”
“E’ il periodo più lungo nel quale suono così poco il mio trombone: l’ho fatto per un’ora e mezzo la scorsa settimana perché mi ha chiamato Roy per fare qualche registrazione. Con lui ho potuto parlare, essendo impegnato in prima persona, del movimento che dai social sta cercando di riportare l’attenzione sul nostro lavoro di musicisti. Mi ha amareggiato avere la conferma sulle divisioni che non aiutano ad avere una voce unica che permetta di far ascoltare le nostre esigenze. A chi contesta che vogliamo fare musica solo per “camparci”, replico che io non riesco a vivere senza suonare. E’ una droga, quando si comincia non si può smettere. Non posso però più accettare che la nostra categoria non venga riconosciuta, che il nostro continui a non essere considerato un lavoro “normale”. E’ un problema che c’è sempre stato, dobbiamo approfittarne ora, per provare a ripartire in maniera diversa. Non è possibile che quando ci siamo ritrovati a chiedere i 600 euro di sussidio, in pochissimi avessimo i 30 giorni di contributi l’anno, richiesti per accedervi. Mi sono ricordato, proprio in quei momenti, nei quali mi chiedevo come avrei potuto andare avanti, delle volte che ho dovuto litigare con gli organizzatori degli eventi per essere pagato, per far capire che anche io avessi ogni mese le bollette da saldare.”
“Ho studiato, investito nella mia formazione, lo Stato lo ha fatto. A volte mi chiedo, perché non chiudano pure i Conservatori: formano per una professione che poi nei fatti non esiste. E’ una provocazione che fa male anche a me che la penso. Spero di tornare a suonare, ma non voglio farlo come prima del Covid, sfruttato e senza diritti. Stare fermo mi ha fatto riflettere: quando non avrò la forza di reggere il trombone, dovesse mancarmi il fiato, avrei una pensione per sostenermi? Ho anche ragionato sulla possibilità di cambiare paese o percorso professionale, tornare in palestra dove per un periodo ho fatto il personal trainer oppure continuare a caricare cassette di frutta. Potrei fare musica solo come hobby, mentre porto avanti quello che per tanti è un mestiere vero.
Ho solo una certezza, il trombone è sempre con me. Era dietro la mia schiena quando andavo ai concerti con il motorino; è il mio bagaglio in treno e in aereo mentre viaggio alla ricerca di qualche garanzia; sarà il bastone della mia vecchiaia. Continuo a fare musica con lui anche quando non suono. Lo farò anche quando sarò in pensione che spero di aver raggiunto, facendo il mio lavoro: il musicista.”
La traccia volante: “Fly high. Vola alto.” “Non è una dichiarazione arrogante di superiorità, ma l’impegno che mi ripeto e mi sono anche tatuato, ad analizzare ogni situazione, ad astrarmi per capire e cercare la strada più giusta, sia per me, sia per gli altri.”
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