L’impegno che noi prendiamo, come piccole antenne, è di raccontare, far conoscere il più possibile le storie di chi è nella rete: almeno una traccia a settimana sarà un cuore con una stella di REAMA.
Nella notte di martedì, all’interno dell’ascensore di un luogo pubblico, la circumvesuviana di Napoli, una donna è stata violentata da tre ragazzi italiani. Nello stesso tempo, un circolo locale della lega ha diffuso un volantino per l’8 marzo nel quale rivendicava il ruolo delle donne, silenziose procreatrici, futuro della famiglia. Mentre ancora non si placano gli effetti della “tempesta emotiva” con cui una sentenza di tribunale giustifica il femminicidio, la sensazione è che anche quest’anno non basteranno manifestazioni e proclami per difendere autodeterminazione, parità e libertà delle donne. La storia però ci insegna che c’è un punto nel quale il buio sembra coprire qualsiasi barlume di coscienza, ed è in quel momento che bisogna reagire con tutta la luce possibile, accendendo ogni fonte di energia positiva disponibile. Ieri, nella Sala Lanzi della Casa Internazionale delle donne, è stata lanciata REAMA, la rete per l’empowerment e l’Auto mutuo aiuto. Le Antenne dell’organizzazione, nata dall’impegno della Fondazione Pangea Onlus con il sostegno della Fondazione Just Italia, saranno attive da Chivasso a Lecce, per accogliere, difendere, informare, formare, prevenire, rilanciare la condizione e il ruolo delle donne del nostro paese. 70, tra associazioni, gruppi di auto mutuo aiuto, centri antiviolenza, case rifugio e professioniste, si sono incontrate per conoscersi, confrontarsi e unirsi. In una giornata emozionante, ospitata in un luogo simbolo di impegno e di lotta, si sono susseguite testimonianze dirette: di chi ha subito, ma non vuole più essere considerata vittima; di chi si batte quotidianamente con il proprio lavoro; di chi offre dolore e competenze per il rispetto di diritti fondamentali, la cui tutela è sancita anche dalla Convenzione di Istanbul, approvata dal Consiglio d’Europa per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e la violenza domestica.
Partita all’alba con il treno, arrivata in ritardo, correndo per la mia assolata Roma, ho ritrovato quei corridoi nei quali ho conosciuto figure ed esperienze storiche del femminismo italiano e internazionale, che si spera nessuno riesca a far silenziare. Purtroppo ho perso proprio il saluto iniziale di Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale che sta lottando quotidianamente per impedire che un patrimonio di memoria, conoscenza, supporto e accoglienza possa essere chiuso. Da quando mi sono seduta, però non sono riuscita più ad alzarmi. Una lezione di umanità e futuro che voglio provare a raccontare per lasciare tracce volanti, impresse forti sulla nostra strada, per un 8 marzo non solo di mimose.
L’impegno che noi prendiamo come piccole antenne, ringraziando Manuela Campitelli,(https://traccevolanti.com/2018/11/22/manuela-per-i-diritti-delle-donne-a-360/) vice coordinatrice di REAMA, che ci ha coinvolte, è di raccontare, far conoscere il più possibile le storie di chi è nella rete: almeno una traccia a settimana sarà un cuore con una stella di Reama.
Dividerò il racconto in due parti: oggi le tracce di chi si è preso in carico e sostiene le donne e i minori vittime di violenza; domani, 8 marzo le testimonianze dirette, preziose per riflettere e ripartire.
“La violenza non è qualcosa da tacere e vivere da sole.”
Il messaggio finale del video che apre la mattina di presentazione di Reama, è più di un incipit, resta come traccia volante di ogni intervento che seguirà e segna il senso profondo di un progetto del quale, mai come in questo periodo, c’è bisogno.
Simona Lanzoni, vice presidente della Fondazione Pangea, entra subito nel vivo di ciò che concretamente farà la rete “nella quale nessun protagonista perderà la propria identità, ma lavorerà in sinergia per orientare le donne e i minori, vittime dei maltrattamenti.”
“Il periodo storico richiede il coordinamento di diverse azioni per ribadire, tutelare e garantire diritti. Dal rafforzamento delle reti territoriali per proteggere le vittime all’offerta di strumenti di empowerment per uscire dalla violenza; dal sostegno alle donne durante il percorso giudiziario alla sensibilizzazione generale sul tema con campagne di informazione rivolte al mondo dell’associazionismo, all’opinione pubblica, alle istituzioni.”
Naid, traccia afghana
Le azioni sono diverse, l’efficacia di eseguirle insieme, in maniera coordinata, è provata sul campo, da Pangea, in diverse zone del mondo. La prima testimonianza arriva dall’Afghanistan, da Naid che dal 2007 si occupa dei diritti delle donne nel suo paese.
Parte da un dato ufficiale: il 70 % delle donne afghane è vittima di violenza. La realtà però è ancora più dura nella quotidianità: nelle strade nelle quali le molestie sono continue; nella difficoltà di accedere al lavoro e a ruoli di rappresentanza; nel numero di matrimoni forzati e di bambine sui quali non si deve abbassare l’attenzione.
Nel 2003 Pangea ha iniziato a lavorare a Kabul con un piccolo numero di donne, offrendo progetti di microcredito alle famiglie, ma si è subito capito che serviva sensibilizzazione e formazione per tutelare la condizione femminile. Per la prima volta tante donne sono entrate in una classe con una lavagna, sedute ad un banco per imparare come rendersi autonome.
“Classi di consapevolezza – le definisce Naid – dove sentivano parlare dei loro diritti, scoprivano di essere libere di interessarsi di loro stesse e dei propri figli, di poter condividere il loro pensiero in famiglia e nella società. Si sono scambiate lacrime e speranza.”
Tra loro, emerge il ricordo del viso di Mariam. Il marito disabile, per sostenere la famiglia era costretta a vendere buste di plastica per strada insieme ai suoi figli. Grazie al suo progetto di microcredito, ha aperto un piccolo forno con cui ha raccolto la somma necessaria per poter permettere ai suoi figli di studiare, togliendoli dalla strada.
”Nei suoi occhi ho letto felicità e soddisfazione.”
La conclusione è un percorso che continua. “Due sono stati gli eventi fondamentali accaduti grazie a Pangea: le donne hanno iniziato ad occuparsi dei propri diritti e, dalle loro azioni libere, si sono potute aprire dei conto correnti. Sono felice di aver fatto parte di questo movimento e di essere ora nella rete che si allarga.”
Kuhu e la resistenza delle donne indiane
Per formare la rete nazionale, gli incoraggiamenti e le collaborazioni arrivano da ogni parte del mondo nel quale opera Pangea. Dall’India, dove la Fondazione è presente dal 2005, è arrivata Kuhu che punta l’attenzione sull’invisibilità delle donne vittime di violenza, disabili.
“Nel mondo ci sono un milione di persone disabili. Il 45% è costituito da donne. In India sono 11.800 le donne disabili fisiche e mentali. Fantasmi invisibili che però sono vittime di violenza come le altre donne. Nel 2006 è stata firmata la Convenzione internazionale dei diritti dei disabili, i governi di India e Italia hanno siglato, dovrebbe significare che vengono tutelate le donne con disabilità. Invece la società ci marchia con uno stigma relegandoci, considerandoci diverse. Io ho una protesi e sono arrivata dall’India per stare qui. Peccato che non ci supportino né le istituzioni, né, spesso, le famiglie: si finisce nella condizione di dipendere da tutti. “
Pangea in India dal 2005 al 2016 ha lavorato con 5000 famiglie con componenti disabili e con 2000 donne per capire cos’è la violenza e come combatterla. A 3000 donne invece ha spiegato come rendersi indipendenti, attraverso il proprio lavoro.
A partire dai risultati è emerso quanto sia sempre più evidente e necessario lavorare insieme, anche perché l’associazione di Kuhu è sempre sotto attacco da parte del governo. Non si fanno certo fermare e organizzano rally, manifestazioni durante le quali occupano le strade per protestare contro le istituzioni che non fanno nulla contro la violenza.
Per questo anche il motto finale di Kuhu è: “Più network uguale più forza.”
Le istituzioni
Reama potrebbe diventare uno strumento fondamentale di conoscenza, stimolo e attenzione per le istituzioni. All’esterno della rete, ma insieme per raggiungere prima e concretamente gli obiettivi, devono esserci anche i rappresentanti politici direttamente coinvolti nel tema.
Per ribadirlo sono presenti Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e Alessandra Ponari a capo del Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio.
Valeria Valente si impegna all’ascolto e all’organizzazione di iniziative e azioni volte alla prevenzione continua. “Temo molto che dall’orribile violenza compiuta a Napoli arrivino due conferme della pericolosa regressione culturale e sociale che stiamo vivendo. Lo stupro è stato commesso in un luogo pubblico da tre ragazzi. Quasi la dimostrazione di una sfida lanciata da giovani che hanno voluto legittimare quanto pare arrivare anche da una parte della comunicazione politica: “le donne sono causa della loro violenza.” E’ prioritario lavorare sulla prevenzione e sulla cultura. Per questo inviteremo spesso Reama a partecipare a diversi seminari che organizzeremo.”
Alla Valente, fa eco Alessandra Ponari a confermare la necessità di una strategia trasversale che “parta dalla prevenzione, dalle scuole e continui in un’attività continua di contrasto e tutela delle donne. “
Presente e futuro a partire dall’esperienza del comitato scientifico
Reama si presenta, tra il plauso e la disponibilità delle istituzioni, ma il lavoro e l’impegno viene da lontano, da figure fondamentali che sono presenti nel Comitato scientifico. Donne che hanno portato la lotta per i diritti nel dibattito pubblico e nella quotidianità del loro lavoro come Vittoria Tola e Maria Grazia Vantadori.
Vittoria, volto e anima storica dell’Unione donne italiane è preoccupata: “Stiamo vivendo un clima di profonda inquietudine e ambiguità. Si deve ribadire che la gestione del problema della violenza contro le donne è una questione politica, in Italia e nel mondo. Quando le donne riescono ad ottenere dei risultati, ad avanzare e veder accolte le rivendicazioni sociali e culturali, c’è subito bisogno che si intervenga per ridimensionarle e riportarle nel loro ruolo “zitte e mosca”. Si mettono in moto i poteri, con provvedimenti, leggi e linguaggi che mirano a questo scopo. Per questo è fondamentale fare formazione, informare e prevenire.”
Il riferimento è al DDL Pillon da conoscere insieme a tutti i disegni collegati che racchiudono ancora più insidie e provvedimenti dannosi. “E’ la dimostrazione del controsenso nel quale si muovono le istituzioni. Da un lato sembrano invitare le donne a denunciare per poi definire per legge, la possibilità che rischino di perdere, per il loro gesto di coraggio e di libertà, la tutela dei propri figli. Si devono attivare discussioni con i più giovani, ma anche con gli adulti per uscire da questa ambiguità politico culturale. Da un lato pare che si concedano dei diritti, dall’altro si spingono a ritornare a casa, a fare figli e accontentare in qualche modo il marito, per evitare crisi sociali. E’ la logica di Dio, casa e famiglia che porta alla proposta di riaprire le case chiuse per soddisfare le esigenze degli uomini, senza tutelare in alcun modo le donne, portando il paese molto lontano dalla modernità.”
Una prospettiva che si riversa nell’esperienza quotidiana di Maria Grazia Vantadori, dal 2006 chirurga nel Pronto Soccorso dell’ospedale San Carlo Borromeo di Milano: “mi occupo dell’accoglienza di diverse donne, vittime di violenza. In questi anni e ancora di più oggi, ho capito che non si deve arretrare, ma affiancarci e combattere tutte insieme.” Al lavoro in un mondo principalmente maschile, Maria Grazia racconta di aver dovuto superare la logica imperante che vorrebbe le donne, esperte solo nel registrare cartelle e nello stesso tempo ha affrontato la realtà di violenze psicologiche continue. “Ho capito cosa ho subìto, ascoltando e curando le tante donne, vittime di violenza che sono arrivate al Pronto Soccorso.”
L’impegno di Maria Grazia non si è fermato e ha portato alla creazione del CASD (Centro ascolto e soccorso donna) che rientra nella rete dei centri antiviolenza di Milano e Rozzano, per seguire le donne immigrate e i loro bambini. Un’attività ambulatoriale con un’equipe multidisciplinare che accoglie le donne incinta, ascolta le loro esigenze, le sostiene e si prende cura anche dei bambini una volta nati.
“Accogliamo donne immigrate senza chiedere documenti perché ci interessano le persone, come aiutarle.”
Dai territori. Mano nella mano nel Centro Renata Fonte
Accoglienza, sostegno e restituzione alla libertà delle donne per superare la retorica della vittimizzazione. L’impegno è forte e praticato quotidianamente dai centri anti violenza che vogliono occuparsi realmente delle persone che a loro si rivolgono. Antenne, spesso secolari che mettono l’esperienza acquisita a servizio della rete. Come il Centro Renata Fonte di Lecce: da 21 anni attivo nel territorio, spesso sotto attacco da parte delle istituzioni. Lo racconta la presidente Maria Luisa Toto che prima di intervenire abbraccia Simona Lanzoni, in un gesto che va oltre il simbolo, a ratificare l’importanza di essere unite nell’impegno.
“Le relazioni tra le donne devono essere basate su realtà e onestà. Noi portiamo questa convinzione già nella scelta della donna a cui ci siamo richiamate: Renata Fonte, vittima di mafia e anche di femminicidio. E’ stata uccisa il 31 marzo del 1984, ma già da tempo aveva ricevuto minacce in quanto donna. Noi l’abbiamo tolta dall’oblio nel quale era convenuto tenerla. Il nostro lavoro è stato difficile sin dall’inizio e lo è ancora oggi. Abbiamo ricevuto una lettera di sfratto, l’ennesima. Lunedì saremo dal commissario prefettizio a cui le canteremo, se non compirà un’azione conseguente a quanto gli racconteremo, siamo attrezzate per continuare il nostro impegno.
Indignate non arrabbiate.”
Nel racconto di Maria Luisa una storia che è partita dall’impegno nella prevenzione. “Abbiamo avuto la fortuna di incontrare all’inizio del nostro percorso il procuratore Piero Luigi Vigna che ci ha aiutato a definire bene le nostre linee guida, partendo dall’impegno nelle scuole. Ogni anno il 31 maggio organizziamo una giornata di sensibilizzazione nella quale sono protagoniste proprio le ragazze e i ragazzi. Nel corso dell’anno e per quel giorno organizziamo iniziative di educazione alla legalità e al rispetto.”
Dalle scuole alle aule dei tribunali, senza mai lasciare sole coloro che hanno bisogno e chiedono aiuto.
“Alle donne bisogna salvare la vita. Chi viene da noi, sa che verrà accolta, accompagnata: non lasceremo mai la sua mano, neanche di notte quando dovrà andare al pronto soccorso o in caserma, fino nelle aule di giustizia. Abbiamo costituito una rete tra addetti ai lavori che consente questo percorso: dalle forze di polizia ai servizi sociali (i nostri corsi di formazione alle assistenti sociali portano buoni frutti). Un lavoro importante lo abbiamo fatto con la Procura. Ogni giorno ci confrontiamo e andiamo a parlare per far capire bene quale sia il profilo della donna che denuncia. Abbiamo avuto la fortuna di avere un grande procuratore come Cataldo Motta.”
Presenti sin dalla stesura della denuncia, le donne del centro ricoprono il ruolo di testimoni: sia in fase preliminare, sia in fase processuale. Maria Luisa ci tiene a ribadire il loro sostegno continuo nei confronti delle donne. “Quando entrano nell’aula di tribunale a molte tremano le gambe, sono nel panico, ma ci hanno rivelato “se camminate con noi, sentiamo di avere la forza accanto.” Un’emozione impagabile come quella ricevuta dalle parole della donna di 71 anni che ha denunciato le violenze subite dopo 50 anni, ma ci ha ribadito: ora vuole tenere stretti i diritti riconquistati.”
Dalle Giuriste italiane alle donne migranti di Nosotras
Per difendere la cultura dell’amore e della vita, da Lecce arriva quindi l’immagine della mano stretta anche nel passaggio più difficile per una donna, vittima di violenza, l’ingresso in un’aula di tribunale. REAMA ha pensato anche a questo e ha dotato la rete di un gruppo di avvocate professionalizzate sulla violenza che fanno gratuito patrocinio, analizzano casi complessi e producono materiali giurisprudenziali.
A rappresentarle, si autodefinisce la decana, Milly Virgilio dell’associazione Giuriste d’Italia.
“L’avvocatura è la grande assente dagli interventi che si mettono in campo per contrastare la violenza contro le donne. Spesso intervengono singole professioniste, non c’è una partecipazione complessiva e sin dall’inizio del coordinamento delle strategie per tutelare e anche per prevenire. Stiamo prevedendo una formazione specifica per gli avvocati in tal senso. Bisogna inserirsi nella rete con la nostra particolare e specifica prospettiva.”
Si rivendica il ruolo dell’avvocato che dovrebbe seguire chi decide di denunciare sin dall’inizio del proprio percorso, accompagnando nei vari passaggi, dal contatto con le forze di polizia ai vari gradi di giudizio. L’impegno è anche a farsi interpellare per i disegni di legge che vengono presentati e spesso sembrano indirizzati dalle figure dei Pubblici Ministeri senza tenere conto delle esigenze specifiche delle donne, vittima di violenza.
Donne che difendono donne e che le sostengono come accade a Firenze nell’associazione Nosotras. La presenta da Kadra. Nata 21 anni fa, come luogo di scambio e aggregazione tra donne provenienti da diversi paesi, ha lo scopo di progettare, assieme, italiane e migranti, giovani e anziane, madri bambine e bambini, azioni per un percorso di autonomia, emancipazione e dignità. Ognuna nel rispetto della diversità che la contraddistingue.
“La storia di Laila che l’ha fondata è quella di ha raggiunto il nostro paese in cerca di una speranza. Da sempre abbiamo avuto la partecipazione di donne con storie importanti che arrivano da varie parti del mondo. Unite non ci ferma nessuno.”
Kadra pone l’attenzione sul tema delle mutilazioni femminili con un approccio diverso, studiato dall’associazione: dare un’alternativa alle mutilatrici per consentire loro di guadagnare in un altro modo per uscire da questa situazione, senza legare la loro autonomia alla violenza su un’altra donna.
Gruppi di auto mutuo aiuto e il sindacato
“Dietro ogni storia ce ne sono tante che bisogna scoprire e raccontare.” E’ la conclusione di Kadra a cui si allaccia il racconto di Cristina Varchi e dei gruppi di auto mutuo aiuto di Ferrara “Dire Basta.”
“Da bambina ho subito delle violenze da parte del mio vicino di casa, i miei genitori mi hanno creduto, ma lui è rimasto impunito.” L’esperienza personale di Cristina fa emergere la realtà di un passato che rimane come un mostro oscuro all’interno delle donne e spesso trasformano quel dolore in incubi, paure e ansie quotidiane. “Nei gruppi di auto mutuo aiuto ho trovato finalmente la possibilità di essere accolta, di condividere problemi, soluzioni e speranze. Ed ora non saprei più resistere senza il gruppo. Abbiamo creato il gruppo anche qui a Ferrara e speriamo di diffondere il modello nel territorio.”
E’ unione, la parola chiave che lega gli interventi, ricercata e trovata per portare avanti percorsi comuni in cui ognuno porta il proprio contributo. Come quello della CGIL che mette a disposizione la rete di professionalità per difendere le donne lavoratrici. Viviana del sindacato conferma: “sappiamo quanto conti l’indipendenza economica e il lavoro realmente retribuito per creare la fondamentale indipendenza delle donne. I nostri obiettivi sono coerenti con quelli di Reama, per cui siamo felici di diventare una forza della rete.”
REAMA si presenta per riaccendere le coscienze, le speranze e le opportunità di tante donne e bambini di liberarsi dal marchio di vittime e riprendere il proprio percorso. Dalla disperazione alla rivendicazione dei diritti: le testimonianze dirette di chi ha subito violenza, lasciano tracce ancora più profonde. continua…
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