“E’ vero: noi disabili siamo, da sempre, la categoria sociale con le maggiori capacità di adattamento. Temiamo lo pensino pure ora: almeno, si spera che l’evidenza dei continui sacrifici a cui siamo sottoposti, anche durante questa emergenza, possa spingere a prendere provvedimenti che valgano definitivamente”
Nel tempo del Coronavirus a sollevare le problematiche concrete e possibili delle persone con disabilità, ci stanno pensando solo coloro che vivono direttamente la condizione. Madri e padri, caregiver, come la mia amica Irene con suo figlio autistico Tommaso. Spetta a loro trovare tutte le informazioni necessarie per capire come gestire anche questo periodo di oggettive difficoltà. Scuole e centri diurni chiusi, attività e laboratori dedicati fermi, educatori e assistenti AEC confusi sui percorsi e le tutele per proseguire la loro attività, su tutto una certezza: dovranno barcamenarsi. Tenendo a bada il timore che, soprattutto in caso di contagio o di necessità di cure ospedaliere per altri motivi, non ci siano corsie dedicate, Irene cerca di vedere anche quali effetti positivi potrebbero ottenersi da questa crisi. L’esplosione evidente delle criticità che rendono la vita complessa a chi convive con la disabilità, potrebbe portare finalmente a prendere provvedimenti risolutivi che possano valere anche dopo. Le parole di Irene ricordano a chi non vive la stessa quotidianità, di salvarsi dall’egoismo e utilizzare una parte del tempo ritrovato, a pensare come poter aiutare gli altri che restano a casa, però non si possono certo riposare, nemmeno questa volta.
“A noi non cambia molto la vita. Sì, Tommaso sta più tempo a casa perché al momento si sono fermati i laboratori sulle autonomie che segue, ma è quello che accade ogni estate. Rimaniamo soli e normalmente apprezziamo di più la città con lunghe passeggiate. Per fortuna questo finora non ce lo hanno proibito, spulciando autonomamente nei siti della Protezione civile e del Ministero della salute, ho visto che, portandomi dietro tutti i documenti che attestano le condizioni di Tommaso e attenendoci ad ogni precauzione necessaria, possiamo girare a piedi. L’alternativa è trovarlo arrampicato sul soffitto. Temo anche la reazione dei condomini alla nostra eventuale occupazione costante del cortile. La nostra zona ci avvantaggia, abitando vicino al centro, magari riusciamo a realizzare il sogno di vedere Piazza Navona vuota.”
“Il prezzo di questo agosto anticipato, senza nemmeno i bus turistici, è però troppo alto. So bene quali potrebbero essere le conseguenze per chi si trova in condizioni ancora più difficili rispetto alla nostra. Penso alla mia amica Elena con Mario, disabile ad alto carico assistenziale, che non solo ha bisogno di aiuto costante, ma che ogni mattina, all’alba, si sveglia chiedendo dove andranno e chi vedranno. Per loro restare il maggior tempo possibile a casa e non vedere nessuno è molto dura. E Sara, con Simone allettato, come farà se gli operatori non possono più andare?
E’ vero: siamo da sempre la categoria sociale con le maggiori capacità di adattamento, ma il fatto che il Governo, protagonista di una gestione positiva della situazione, non abbia detto nemmeno una parola su noi disabili, ci consegna nuovamente ad uno stato di frustrazione e solitudine, maggiore rispetto agli altri. Solo la Ministra Bonetti ha parlato di voucher, disponibili anche per operatori che vadano a casa di persone con disabilità, ma ancora non ci sono state fornite le informazioni sulla fruibilità e le possibilità di utilizzo. Come sempre sta a noi capire, informarsi e organizzarsi.”
“Non mi abbatto, penso che si potrebbe tentare di trarre da questa situazione qualcosa di concreto per noi caregiver. C’è un disegno di legge depositato al Senato, per nulla risolutivo. Guardando ancora una volta, a quante funzioni riusciamo a supplire, facendo risparmiare patemi e soldi allo Stato, potrebbero definire dei sostegni economici effettivi per chi passa le proprie giornate ad assistere i propri cari, senza ferie, senza turni e nemmeno permessi speciali per il contenimento del virus. Emergendo le criticità di possibili casi di emergenza sanitaria nelle condizioni di Simone, nel letto di un appartamento al settimo piano senza ascensore, si potrebbero adottare soluzioni efficaci e sicure. Dagli interventi diretti nei confronti di chi vive e si prendere cura delle persone con disabilità, potrebbero prendersi provvedimenti, necessari da tempo, anche per migliorare le condizioni lavorative degli operatori socio sanitari e degli educatori AEC. Per la prima volta è stata allargata la cassa integrazione anche a questi ultimi: ci voleva il Coronavirus!”
“Per quello che riguarda gli AEC, però, c’è un problema che riguarda i ragazzi che usufruiscono del loro supporto a scuola. Già privati della loro quotidianità in classe, impossibilitati a seguire le lezioni a distanza, se non hanno almeno un elemento di continuità su cui contare, come può essere la presenza dell’educatore, rischiano di perdere tutte le competenze acquisite e di subire una pesante regressione. Nelle varie ordinanze emesse, ho visto che è previsto che si continui questo servizio in casa, ma nella pratica non si tiene conto del sacrosanto timore da parte di alcuni educatori; della possibilità che si ammalino; della difficoltà di spostarsi visto che spesso vengono da altre province; della mancata formazione specifica di altri che potrebbero sostituirli.”
“Tocca sperare che l’emergere palese delle numerose contraddizioni, possa spingere a prendere provvedimenti che durino anche cessata l’emergenza, per consegnarci un’organizzazione dei servizi più attenta alle diverse esigenze. Non vorrei che il perdurare del silenzio, invece, rappresenti una conferma nel ritenerci coloro che sono abituati a non essere considerati e a barcamenarsi.
Intanto c’è una paura che cerchiamo di controllare, ma prova ognuno di noi, che non sia stato previsto nessun iter ospedaliero specifico per i nostri cari. Non sappiamo quante siano le persone con disabilità positive al Coronavirus o ricoverate. Di certo siamo consapevoli di quanti pochi siano i reparti attrezzati, già in condizioni normali, per l’accoglienza. Allontanando sempre il più possibile il pensiero della lotteria della rianimazione.”
“Cosa possiamo fare allora? Speriamo di resistere e che non succeda né a noi, né ai nostri cari nulla che necessiti di cure ospedaliere. Manteniamo la calma e facciamo la stecca: ogni giorno è uno di meno per sopportare i provvedimenti speciali. Non possiamo permetterci di agitarci o ne risentirebbero subito coloro che abbiamo accanto, ipersensibili, rendendoci la vita ancora più difficile. Noi abbiamo l’operatore raffreddato, quindi abbiamo preferito non venisse, ce la caviamo: siamo in ballo e balliamo. Come in un agosto, meno caldo, con maggiori preoccupazioni.”
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