“Convinti da tempo che le malattie non sarebbero state portate nel nostro paese dai migranti, siamo stati superati dalla realtà. Il virus è arrivato in prima classe, però ora potrebbe costituire un rischio pericolosissimo per coloro che sono più vulnerabili a livello sociale. Noi faremo tutto quello che possiamo per continuare ad occuparcene”
Nelle strade delle grandi città, nei campi rom, nei centri di accoglienza, tra le baracche dei lavoratori in nero delle campagne: in tutti i luoghi dove chi pure vorrebbe stare a casa, non può, perché non la ha, sembra che il virus non si annidi. Il rischio del contagio invece c’è ed è alto. Si somma a quello di vedere sparire anche le poche possibilità di resistenza per gli ultimi che in queste realtà provano a sopravvivere. Per fortuna, lontano dalla risonanza mediatica, continuano a lavorare centinaia di operatori e volontari di organizzazioni e associazioni che hanno nella loro mission la cura dei soggetti più vulnerabili. Tra loro c’è Sanità di Frontiera, la onlus nata nel novembre 2015 dalla volontà di esperti di cooperazione internazionale, progettazione europea e formazione, convinti che il diritto alla salute di tutti sia alla base di un mondo più equo, inclusivo, aperto e rispettoso della diversità. Dal 2018 hanno approntato anche un’Unità mobile “Salute e inclusione”: un camper con a bordo medici volontari e mediatori culturali per creare un ponte fondamentale con il sistema sanitario nazionale. Offrono informazioni e cure di base a soggetti svantaggiati, in particolare ai migranti. Opera a Roma in collaborazione con diverse realtà attive nei territori dove maggiori sono le vulnerabilità sociali. In Calabria e in Puglia, insieme a Medu, gira nei luoghi in cui vivono nel degrado coloro che lavorano nei campi. L’emergenza Coronavirus non ha bloccato l’impegno della Onlus: acquisiti i dispositivi di sicurezza necessari, l’Unità mobile è tornata in strada per informare sulla prevenzione e fornire materiali di protezione ai tanti che anche la pandemia ha provato a nascondere. Valeria Vivarelli esperta nella gestione dei progetti internazionali, è una delle figure centrali dell’associazione. Responsabile della pianificazione e del coordinamento dei progetti, oltre che della ricerca di bandi e finanziamenti, venerdì era a bordo del camper, per proseguire quel servizio che ha voluto far crescere e dei cui risultati va fiera. Prima tappa, insieme alla Croce Rossa, in un campo rom della capitale. Il viaggio per garantire il diritto alla salute a tutti è appena ripreso e non si fermerà. In collaborazione con altre organizzazioni, Sanità di Frontiera è in prima linea anche per la richiesta di protocolli e provvedimenti che coinvolgano le istituzioni nella cura e nell’ assistenza di chi non ha abbastanza voce per chiedere. La traccia di Valeria è collettiva: racconta quanto si può fare per non rimanere soli, ora e nel futuro prossimo.
La traccia: l’assistenza e la cura di migranti e senza fissa dimora
“Siamo stati bloccati solo due settimane. Dovevamo capire, in accordo con le altre realtà con cui collaboriamo, come portare avanti la nostra attività senza rischiare sanzioni che ci fermassero per più tempo. Grazie al coordinamento con altre associazioni del Terzo Settore, abbiamo ottenuto un’ordinanza che riconosce l’assistenza ai senza fissa dimora come un’azione consentita per cui ci si può muovere nel territorio locale. Per quanto ci riguarda abbiamo convertito le nostre azioni per implementare: la fruibilità delle informazioni sanitarie relative a misure di prevenzione (igiene, educazione sanitaria, informativa in merito a norme specifiche); la sorveglianza (individuazione precoce di casi sintomatici e/o di casi che dovessero necessitare di quarantena e/o isolamento fiduciario); la garanzia dell’adeguata presa in carico da parte delle Aziende sanitarie e delle altre Istituzioni delle persone in condizione di maggiore fragilità.”
In strada e nei campi rom per prevenire
“Il problema a questo punto è stato trovare i dispositivi di sicurezza, sia per i nostri operatori, sia per coloro che andavamo a raggiungere. La domanda che ci siamo posti, avendo chiari gli obiettivi, da sempre alla base delle nostre azioni, è stata: come aiutare senza mettere a rischio nessuno? Posto che le visite nel camper non avremmo potuto farle per questione di spazi, dovevamo dotarci subito del materiale necessario. Mi sono messa sotto nella difficile ricerca di mascherine, guanti e gel igienizzanti. Finalmente ho trovato il fornitore. Lunedì della scorsa settimana è arrivato quanto ordinato: finalmente di nuovo pronti a scendere nella strada!”
“Abbiamo chiesto supporto agli amici della Croce Rossa, per attivarci nei campi rom. Nell’ultimo anno stiamo portando avanti un progetto denominato ROME4ROMA: una raccolta scientifica sugli effetti della discriminazione razziale vissuta dai rom, dello “stress psico-sociale” e dell’insorgere di malattie mentali da essa causate. Insieme all’Associazione 21 Luglio, alla Coop Civico Zero e al Centro Salute per i Migranti Forzati della ASL RM1, SAMIFO, promuoviamo il progetto finanziato da Open Society Foundation, per creare un’antologia strutturata sia sul rapporto “Rom e salute mentale” a livello nazionale ed internazionale, sia sulle leggi e le politiche pertinenti. Il nostro agire finora in questo ambito è stato quindi indiretto, non ci siamo occupati delle esigenze materiali delle famiglie che vivono nei campi. Invece adesso è emersa l’urgenza di intervenire concretamente. C’è fame, paura e bisogno di aiuto. Siamo andati nel Campo di Monachina, già seguito da Croce Rossa e ASL. Lo scopo era fornire informazioni precise per contenere il possibile contagio e distribuire presidi. Grazie al lavoro di preparazione degli operatori già presenti, siamo riusciti ad organizzarci molto bene: uno per volta, abbiamo parlato con i capo famiglia e dato loro mascherine, guanti e gel.”
“Ieri sera siamo andati invece alla mensa su strada alla Colonna Traiana, dove il Forum dei volontari non si è fermato mai. Non c’era mediazione quindi è stata una sfida maggiore. Abbiamo avuto la conferma della necessità di muoverci sulle priorità previste. Crediamo, anzi, si debba estendere la promozione di un’azione locale di monitoraggio “itinerante”, per verificare le condizioni di salute di chi vive ai margini delle nostre città, in strada, camper e strutture abitative di fortuna. Parallelamente ci stiamo muovendo insieme agli altri soggetti coinvolti nell’individuazione di strutture idonee per accogliere chi abbia bisogno di stare in quarantena.”
Numeri e storie dal camper
“E’tanto il lavoro da fare, ma devo ammettere che non vedevo l’ora di poter tornare a dare un contributo. A casa cominciavo a sentirmi inutile. E’ passato solo un anno e mezzo da quando abbiamo messo in moto l’unità mobile, dimostrando, nei numeri e nella realtà incontrate, quanto fosse necessario il nostro sostegno alle tante persone in difficoltà che abbiamo incontrato. Il servizio è realizzato in partenariato con ASL Roma 1, Policlinico Umberto I e Centro Nazionale per la Salute Globale, rientra nell’ambito del Progetto “Sanità di Frontiera” e si avvale del prezioso contributo di Consulcesi Onlus, Obolo di S. Pietro, Otto per Mille della Chiesa Valdese e Fondazione Nazionale per le Comunicazioni (FNC).
Il camper ha sostato in diversi luoghi della città: nei pressi degli stabili occupati come quello dell’ex INPS di Viale delle Province, dove vivono oltre 100 nuclei familiari principalmente stranieri, che includono anche minori; nei quartieri dove risiede il maggior numero di famiglie vulnerabili, anche italiane, come abbiamo sperimentato con una collaborazione informale col centro culturale Casale Caletto, occupandoci anche del vicino campo rom. Da metà aprile a fine maggio 2019 il camper si è spostato, anche nel Centro Popolare S. Basilio. Da maggio a settembre 2019 siamo stati ogni giovedì sera, nel piazzale antistante la stazione Tiburtina, dove avviene una distribuzione di pasti, organizzata ed erogata da varie associazioni di volontariato, che raccoglie dalle 200 alle 300 persone ogni settimana. Fino ai primi di marzo, chi aveva bisogno, ci ha trovato il martedì, a Piazzale Ostiense, nei pressi della stazione e il giovedì alla stazione Tuscolana, in alternanza settimanale con la stazione Tiburtina, sempre a disposizione di coloro che usufruivano della distribuzione dei pasti.”
In un anno abbiamo assistito 548 utenti: 89 italiani, pari al 16% del totale degli accessi. Questo dato ci ha posto degli interrogativi in merito alla vulnerabilità crescente di una fascia della popolazione italiana che lamenta particolare difficoltà di accesso al sistema sanitario, dovuta principalmente a liste di attesa eccessive, difficoltà deambulatorie, mancanza di medico di base a causa di questioni legate a residenza e domicilio.”
“I numeri sono sguardi, mani che si tendono, storie che si raccontano, destini che si affidano e mi confermano, ogni giorno, il valore del lavoro a cui ho deciso di dedicarmi sin dalla nascita dell’organizzazione nel 2016. Ho trovato una sintesi perfetta tra quanto avevo fatto fino ad allora nella ideazione e stesura di progetti internazionali e l’impegno diretto nella realtà. Sono orgogliosa dei nostri corsi e convegni, rivolti principalmente ai medici che si occupano della salute dei migranti con un approccio che va dall’antropologia alla medicina, realizzati insieme alle organizzazioni che operano nei territori. Ne facciamo tre l’anno, per il 2020 era pronto anche uno su questi temi, rivolto ai giornalisti che purtroppo rimanderemo. Stiamo ragionando su come impostare i prossimi. Ora le priorità sono altre.”
Tra i braccianti a rischio costante
“Convinti da tempo che le malattie non sarebbero state portate nel nostro paese dai migranti, siamo stati superati dalla realtà. Il virus è arrivato in prima classe, però potrebbe costituire un rischio pericolosissimo anche per chi è in strada o nei centri di accoglienza. Non ci sono indicazioni precise in merito. Insieme ad altre organizzazioni, tra cui Caritas, Centro Astalli, Intersos, Medu, Medecins du monde, abbiamo scritto una lettera, indirizzata al Ministero della Salute e alle istituzioni locali, per capire cosa si possa mettere in campo in tal senso. C’è molta confusione sui protocolli da adottare in caso di sintomatici o di positivi al covid che si trovino in strada. Riteniamo invece sia fondamentale che si approntino strategie concrete per trasferire urgentemente tutte le persone che vivono negli insediamenti informali, sia rurali che urbani, in strutture di accoglienza idonee a garantire il rispetto delle misure igienico-sanitarie previste dai decreti. Noi intanto abbiamo fornito uno schema preciso con le attività che mettiamo a disposizione, in un coordinamento tra le diverse realtà coinvolte, nelle zone in cui sappiamo essercene bisogno.”
“Non manca la buona volontà che non può bastare. Penso a quanto si sta continuando a fare in Calabria. Sanità di Frontiera in partnership con l’Organizzazione MEDU (Medici per i Diritti Umani) da dicembre 2017, gestisce una Unità Mobile nel territorio della Piana di Gioia Tauro, in Calabria, e, da gennaio 2019, anche in Puglia presso la zona della Capitanata. L’Unità Mobile fornisce assistenza medico-sanitaria ed orientamento socio-legale e sui diritti del lavoro ai braccianti stranieri presenti nella zona di S. Ferdinando, impiegati nella raccolta stagionale degli agrumi. Le condizioni di sfruttamento e le situazioni abitative di degrado e marginalizzazione continuano a rappresentare i caratteri dominanti in questo contesto, rimasto di fatto invariato nel corso degli anni. La situazione risulta drammatica sotto vari aspetti. Il degrado, le baracche, la plastica ed i rifiuti costringono le persone a condizioni di vita terribili. Nella vecchia tendopoli di San Ferdinando, nella zona industriale, che è diventata uno dei ghetti più grandi d’Italia, hanno trovato posto 2.000 persone in tende e baracche affollate e gelide; lavoratori in condizioni di estremo disagio. I servizi igienici sono assenti o fatiscenti. L’Unità mobile non si è fermata. Proprio perché siamo consapevoli di quale possa essere il rischio qualora dovesse diffondersi il contagio. A questo si aggiunge anche la quotidianità attuale di un lavoro che scarseggia e rende le condizioni di sopravvivenza ancora più dure. Il camper fornisce mascherine e informazioni necessarie, ma allo stesso tempo non cesseranno i nostri appelli congiunti con le altre associazioni perché le istituzioni si occupino di questo altro fronte dell’emergenza.”
“Parallelamente al lavoro in strada, bisogna attivarsi per reperire fondi che ci garantiscano di rimodulare le nostre attività. In queste settimane non abbiamo mai smesso di cercare bandi e scrivere progetti per intercettare finanziamenti coerenti con quanto vogliamo portare avanti. Nei prossimi mesi speriamo di riprendere la formazione, ma sono sicura che non possiamo far mancare la nostra presenza in strada. Le due notti precedenti al mio ritorno in camper, ho dormito poco, non sarei onesta se non ammettessi qualche timore dopo essere stata bombardata di immagini e notizie in casa. Temevo soprattutto per la mia famiglia e per le persone con cui lavoro. Poi ho ritrovato i nostri collaboratori, i mediatori e l’eroico dottor Filippo Tosato: il contatto con la realtà ha dissolto ogni dubbio. Lo hanno capito anche mio marito e le mie figlie: è il mio lavoro, da svolgere con tutte le accortezze. Ho anche il loro pieno appoggio che mi sostiene. Capisco cosa possano provare i medici. Se si pensa al peggio non si fa nulla: invece ora è il momento di esserci, agire per dare il proprio contributo.”
La traccia volante: L’obiettivo è più forte della paura.
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